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venerdì 29 aprile 2011
Daniele Carcea: "USA default più vicino... mentre in Italia si pensa a Ruby Rubacuori" - Economia mondiale verso il crollo finale
"Mici intenti a spiare le mosse dell'american default" (Saul Arpino)
Mentre in Italia i giudici si dividono fra quelli che devono capire se a portare Ruby Rubacuori ad Arcore siano stati Emilio e Lele o la Minetti, e quelli che dichiarano innocenti le grandi banche d’affari internazionali che hanno contribuito a mettere in piedi il grande sacco Parmalat, l’agenzia di rating Standard & Poor's rompe il tabù dei tabù: portando da stabile a negativo il giudizio sul debito pubblico americano.
Il rating del debito americano segna da sempre la tripla A, ma ora S.& P. (una delle tre sorelle, agenzie di rating) minaccia di abbassarlo se non verrà approvato dal Congresso Americano un serio piano di rientro dal debito che veleggia verso il 100% del Pil e di contenimento del deficit che nel 2010 è stato del 10%. I repubblicani auspicano potenti tagli della spesa sociale: sanità, dipendenti pubblici, sistema pensionistico, mentre Obama e i democratici puntano alla diminuzione delle spese militari e quindi lo scontro si presenta molto aspro. Il debito è letteralmente esploso negli ultimi anni, nel 1980 segnava il 33,4% del Pil, nel 2000 il 56%, fino al 2007 si è mantenuto su questi livelli, ma lo scoppio della crisi e la decisione di salvare tutto il sistema finanziario americano, socializzando le perdite sui mutui tossici, scaricandole quindi sull’intera collettività, ha portato ad una vera esplosione del debito pubblico.
Per una corretta visione globale della situazione americana è però necessario fare operazione di completezza: al debito Federale si devono sommare i debiti dei singoli Stati, così come si fa ad esempio con il debito pubblico italiano, dove si somma il debito statale a quello di tutte le pubbliche amministrazioni. Il debito dei singoli Stati si aggira intorno ai 3.000 miliardi di dollari, pertanto se si somma il debito federale e i debiti statali si arriva ad un rapporto debito pubblico/pil del 120%.
Il debito Usa è uguale quindi a quello italiano in termini percentuali di rapporto debito/pil debito (118%), e di gran lunga superiore al debito complessivo area euro che è attestato all’84% del pil e presenta un deficit medio del 6,35% contro il 10% degli Stati Uniti.
Se poi il discorso viene allargato all’intero indebitamento del sistema a stelle e strisce, allora ci troviamo di fronte ad una vera e propria bomba innescata, il totale dei debiti pubblici (stato federale e singoli stati), più le famiglie, più le imprese e infine le banche ammonta a 57.000 miliardi di dollari, per un rapporto indebitamento/pil che si aggira intorno al 400%, una cifra pazzesca, se si tiene conto che è la stessa cifra a cui ammonta l’intero pil mondiale 60.000 miliardi.
E’ chiaro che in ballo c’è la tenuta di tutto il sistema economico-finanziario statunitense, ma per essere corretti di tutto il mondo occidentale, che da troppo tempo a causa delle politiche dell’indebitamento vive al di sopra delle proprie possibilità; a maggio si raggiungerà il tetto massimo di possibile indebitamento pubblico federale previsto dalla legge, l’ultima soglia massima autorizzata: 14.300 miliardi di dollari, occorrerà, una nuova autorizzazione, altrimenti il giocattolo si blocca: perché il tesoro non ha più il potere legale di vendere Bot.
Sicuramente verrà fatta l’ennesima legge, che consentirà di sforare il 100%, fissando il limite più in alto, ma i repubblicani stanno alzano terribilmente il prezzo.
Addirittura nelle file dei repubblicani i Tea party chiedono tagli della spesa di 4.000 miliardi di dollari nei prossimi anni, una cifra pazzesca e un’altra frangia quella più oltranzista che fa capo a Ron Paul e al figlio Randy si auspica proprio che gli Stati Uniti dichiarino il fallimento e l’impossibiltà di pagare l’enorme debito pubblico, in modo da smettere di continuare a drogare il sistema con la politica portata avanti dalla Fed da sempre, con la perenne emissione di moneta, senza alcun sottostante che faccia da controvalore e garantisca quella moneta.
Infatti, la Federal Reserve, la Banca Centrale americana, da due anni e mezzo a questa parte ha stampato una quantità enorme di dollari per salvare le grandi banche: troppo grandi per poter fallire e garantire l’economia americana dal cosiddetto rischio sistemico, cioè il collasso.
In realtà le banche dovevano essere fatte fallire, e sarebbe dovuta essere sfruttata questa grande crisi per ripensare il sistema monetario mondiale.
Invece, governi e soprattutto banche centrali se la sono ben vista dall’invertire una situazione di accumulo di debito pubblico e privato, ma hanno continuato nella politica di pompaggio di liquidità nel sistema, così come si fa con un drogato a cui si continua dare l’eroina, anziché avviarlo ad un sistema di recupero e disintossicazione che deve inevitabilmente passare anche da crisi di astinenza. Sicché anziché affrontare le conseguenze di una recessione che avrebbe comportato grossi sacrifici nell’immediato, si è scelto la politica della conversione in debito pubblico dei debiti privati, nello specifico quelli derivanti dai prodotti tossici presenti nei bilanci delle banche, nella classica ottica della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite, che caratterizza la negazione del libero mercato e la promozione del capitalismo di Stato.
La Fed ha prodotto liquidità per 2 mila miliardi di dollari, con due operazioni chiamate QE: quantitative easing, che hanno consentito di agguantare le banche, tenere bassi i tassi di interesse Usa e soprattutto comprare i titoli del proprio debito pubblico, quelli emessi dal Tesoro americano.
Sembra che la quantità di titoli del debito pubblico americano che la Fed si è autocomprata ammonti al 70% del debito emesso negli ultimi anni, ha nel proprio portafoglio un totale di 1.400 miliardi di obbligazioni del tesoro, 600 in più rispetto all’anno scorso.
Ora a giugno finirà la somma a disposizione, stanziata con la seconda fase di quantitative easing (QE2), a quel punto per gli Stati Uniti i problemi saranno enormi: come faranno a piazzare i titoli del proprio debito, con la stampante che si blocca, la Cina che sta progressivamente diminuendo l’acquisto di titoli del debito federale perché da tempo consapevole della possibile insolvenza americana e il Giappone in piena crisi da post tsunami-terremoto-nucleare, che dovrà pensare a sovvenzionare la propria ricostruzione?
Faranno una terza operazione di emissione di moneta? Allungheranno l’agonia e aumenteranno ancora di più l’inflazione mondiale dovuta all’invasione di dollari, rimandando ancora per un po’ di tempo il regolamento dei conti?
Daniele Carcea
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