Perché una seconda ondata di Mattarella? E, per giunta, quando ancóra a palazzo Chigi imperversa il virus Draghi? Semplice: perché Draghi non può lasciare la guida del governo, se no quei pasticcioni di piddini e cinquestelle (con leghisti giorgettiani e forzisti brunettiani al séguito) sbagliano tutto e il PNRR va a farsi benedire. E, con il PNRR, anche le “riforme” e le “transizioni” che tanto a cuore stanno all’Unione Europea e a Wall Street.
Senza contare che – se finisse il governo Draghi – ci sarebbe il rischio concreto di interruzione della legislatura e di elezioni anticipate. E, questo, senza neanche il tempo di tentare la riforma del sistema elettorale, con il risultato di vedere a breve scadenza Giorgia Meloni alla Presidenza del Consiglio.
Il pericolo Giorgia é quello che i poteri fortissimi dei “mercati” devono assolutamente sventare. Pena il rischio concreto che l’Italia rifiuti di lasciarsi incaprettare senza opporre resistenza.
Ma, procediamo con ordine. Dunque, si era al muro contro muro. Un centro-destra apparentemente unito aveva le sue ottime carte da giocare (prima con la candidatura di Silvio Berlusconi, poi con quella della Presidente del Senato e con le altre). Ed un centro-sinistra apparentemente unito respingeva sistematicamente uno dopo l’altro tutti i nomi fatti dal centro-destra, accusati di essere “divisivi”. In mezzo Renzi (che cercava di approfittare del bailamme per piazzare il “suo” Casini) e tutta una pletora di minuscole aggregazioni piú o meno centriste.
Tutti sapevano che la situazione si sarebbe sbloccata quando la palude centrista fosse stata costretta a schierarsi di lá o di qua; o quando – al limite – fosse riuscita ad imporre ad uno degli altri schieramenti un terzo uomo, tipo Casini.
Un primo mutamento di questo schema si produceva quasi súbito, immediatamente dopo il ritiro della candidatura Berlusconi. L’unitá apparente del centro-destra andava in frantumi, e venivano fuori almeno cinque diverse linee. E cioé, le tre linee delle forze principali (leghisti, fratellini e forzisti, rigorosamente separati), una quarta rappresentata dall’ala ministeriale (georgettiani e brunettiani), ed una quinta che annoverava la componente centrista del centro-destra (a sua volta divisa al proprio interno tra i vari gruppuscoli che la compongono).
Seguiva la prevedibile melina: votazioni-bidone, partecipazioni, non partecipazioni, astensioni, schede bianche, candidature di bandiera. E, naturalmente, fuoco-di-fila di franchi tiratori centrodestristi. Con una novitá: questa volta i franchi tiratori non si nascondevano nel segreto dell’urna, ma uscivano allo scoperto, firmando quasi le schede infedeli con cospicui pacchetti di voti per Bossi, per Giorgetti, per Tajani, per Berlusconi, oltre che per vari nomi piú o meno centristi dell’altro versante.
Intanto, filtrava la voce che Draghi si sarebbe probabilmente dimesso se alla presidenza fosse stato eletta persona diversa da Mattarella o, in subordine, da Giuliano Amato, altro elemento amatissimo dai “mercati”. Naturalmente, la notizia non trovava conferma. Draghi continuava a mantenere un profilo basso. Ma cresceva l’inquietudine di cinquestelle e “responsabili” assortiti.
Poi, quella che sembrava la svolta: il summit Letta-Salvini-Conte e la decisione di far votare una candidatura by partisan nella persona di Elisabetta Belloni, una figura indipendente, una donna assai apprezzata da tutti, con alle spalle una lusinghiera carriera diplomatica e, in atto, direttore generale del DIS, l’organismo di coordinamento dei nostri servizi segreti.
Tutti contenti, tutti soddisfatti. Salvini correva a riferire al coordinamento dei partiti del centro-destra, ottenendo il via-libera anche di Fratelli d’Italia. La “quadra” era stata trovata: salvaguardata sia l’unitá del governo (che tanto a cuore stava ai peones timorosi di una crisi che avrebbe potuto sfociare in elezioni anticipate), sia quella delle due coalizioni. Trovata la soluzione, sbloccata l’impasse, scongiurato il muro-contro-muro, e – cose di cui quasi tutti si preoccupavano al massimo – assicurata la perfetta agibilitá del governo in carica, il PNRR, le riforme “che l’Europa ci chiede” e le “transizioni” che, insieme all’Europa, ci vengono chieste anche dai piú grossi affaristi del globo terraqueo.
Sir Drake poteva dormire sonni tranquilli. Invece, soffriva evidentemente d’insonnia, perché si precipitava da Mattarella, gli diceva che si rischiava la paralisi (proprio quando la situazione si stava sbloccando) e lo invitava a fare il “sacrificio” di un secondo mandato che, a quel punto, non stava né in cielo né in terra.
Piú o meno contemporaneamente, il Cavaliere – dal suo letto d’ospedale – alzava il telefono e chiamava il fido Braccobaldo Tajani, ordinandogli di fare una inversione a U e di schierarsi con Sergio II. A Salvini non c’era bisogno di fare alcuna telefonata, perché in Lega comanda ormai Giorgetti, e quello che una volta era il Capitano é ormai soltanto un caporale di giornata.
Fin qui, la cronaca. Una cronaca talmente inconcepibile – peró – da lasciar credere che dietro certi comportamenti allucinanti possa esserci altro, molto altro, moltissimo altro. Certo, nessuno potrá mai avere delle prove concrete, ma molti ormai si pongono delle domande e – come direbbe Marzullo – si danno delle risposte.
Anche io – nel mio piccolo – avrei elaborato un “dietro le quinte”. Beninteso, si tratta di opinioni personali, personalissime, non di fatti oggettivi, provati. E, tuttavia, la mia vecchia passione per i romanzi gialli mi induce ad abbozzare una pur fantasiosa ricostruzione. Dunque, ipotizziamo che i famosi “poteri forti” siano andati nel panico di fronte alla prospettiva che le prossime elezioni possano partorire un governo Meloni, e che tale governo possa adottare misure che disturbino i piani di Bruxelles e di Wall Street. A quel punto, Draghi viene accantonato nella corsa del Quirinale, e si opta per Mattarella, che ha l’esperienza politica e la preparazione giuridica necessarie per mettere i bastoni tra le ruote al governo. Si ricordi come fu bravo a impedire la nomina di Savona a Ministro.
Sennonché, una rielezione del Presidente della Repubblica é sia pur implicitamente esclusa dalla Costituzione. Occorre allora forzare la mano, disegnando l’immagine di un Presidente talmente amato dal popolo che sarebbe un peccato non rieleggere, talmente capace che da solo può garantire la sopravvivenza del governo in carica, talmente prezioso da indurre tutti quanti a rieleggerlo con rulli di tamburo e squilli di tromba.
Ecco allora – é sempre la mia ricostruzione fantastica – iniziare la pretattica. Mentre il Presidente ripete in pubblico fino alla nausea che la Costituzione esclude ogni ipotesi di reincarico, si moltiplicano le occasioni ufficiali in cui il soggetto é esposto a favore di telecamera un giorno si e l’altro pure, magari con applausi scroscianti per piú e piú minuti (come se fossero stati provocati da qualche clac dislocata strategicamente), si fanno trapelare sulla stampa notizie di case affittate per un onorevole pensionamento, si fanno pubblicare le fotografie di un anticipo di trasloco, con un materasso in bella vista e con gli scatoloni giá pronti, che un solerte collaboratore mostra sui social con scarsa considerazione per la privacy del suo principale.
Poi inizia la liturgia dei vertici fra partiti e delle prime fumate nere in aula. Il centrodestra dá sfogo a tutta la sua fantasia per proporre nomi ineccepibili da sottoporre all’altra coalizione, e il centrosinistra li boccia uno ad uno, con motivazioni non proprio brillanti.
E quando, alla fine, il PD non riesce piú a trovare argomenti per bloccare una proposta by partisan e ci si avvia verso una soluzione che salverebbe capra e cavoli, ecco allora che il Presidente del Consiglio si precipita da Mattarella e lo scongiura di accattare una rielezione che ormai, anche con la migliore buona volontá, non puó essere considerata indispensabile.
E il buon Sergio, compunto, dimentica di colpo tutte le dotte argomentazioni di segno contrario, e si offre impavido al supremo sacrificio della rielezione. Intanto, per fugare le ultime resistenze di Lega e Forza Italia (che fino a 10 minuti prima avevano sparato a zero contro l’ipotesi di un Mattarella bis), ecco che il cavalier Berlusconi prende il telefono e detta i nuovi ordini di scuderia: contrordine, compagni – avrebbe detto il buon Guareschi – si vota Mattarella.
Ciliegina sulla torta: mentre fino ad ieri si ipotizzava soltanto una eventuale rielezione a tempo di Mattarella (che avrebbe dovuto dimettersi dopo un anno per consentire al nuovo parlamento di eleggere un Presidente della Repubblica con piena legittimazione), adesso di questa cosa non se ne parla proprio piú, dando per scontato che si tratti di una rielezione piena, tale da produrre i suoi effetti per l’intero settennato. Tale – cioé – da andare ad incidere sul governo che scaturirá dalle elezioni del 2023.
Fine della ricostruzione. Una ricostruzione fantasiosa, da giallofilo impenitente quale io sono, sulle orme di Poirot e di Nero Wolfe. E senza neanche scomodare personaggi meno letterari, come il Divo Giulio, il quale – si ricorderá – amava ripetere che a pensar male si fa peccato, ma...
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
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