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domenica 1 ottobre 2017
Ganesh, il simbolo della conciliazione fra matrismo e patriarcato
Brahma, Vishnu, Shiva… ogni indù ha una sua divinità preferita, ma,
tra tutti gli dei, quello che raccoglie più fedeli è Ganesh, ritenuto
il dio della buona sorte. Figlio di Shiva e Parvati, dio della
saggezza, ha il capo di un elefante ed il corpo umano.
In genere Ganesh viene colorato di rosso (il colore della Shakti), e
il topolino Akhu ne rappresenta il suo veicolo. Ganesh è invocato per
iniziare ogni impresa, un viaggio, un affare con la finalità di
rimuovere ogni ostacolo o impedimento. È lo scriba autore della
trascrizione del Mahabarata ed è quindi il patrono della scrittura.
In termini filosofici, le sembianze di mezzo-uomo e mezzo-elefante
sintetizzano il concetto metafisico del Tat-twam-asi (che significa Tu
Sei Quello, riferito all’Assoluto): il corpo umano è la personalità
individuale mentre il pachiderma ne rappresenta la componente
cosmologica ed insieme si uniscono in un solo elemento.
La statua di Ganesh viene solitamente posizionata all’entrata delle
case ed anche dei templi con lo scopo di proteggere ma anche per fare
entrare, assieme ai graditi ospiti, la buona sorte e la spiritualità.
………….
Nota esplicativa e corroborativa sul mito di Ganesh:
Dovremmo considerare il contesto in cui questa storia e questa immagine di Ganesh è nata.
Corrisponde al momento della transizione fra matrismo e patriarcato. Parvati la Dea Madre, sposa di Shiva, si era urtata perché i Gana (servitori) di Shiva entravano nel palazzo di Kailash cercando il suo
sposo senza aver preventivamente chiesto il suo permesso. Perciò creò da se stessa, con la sua energia divina, un figlio e gli diede l’incarico di guardare la porta d’accesso del suo appartamento e di non far entrare alcuno senza il suo consenso. Così egli fece e quando vennero i Gana ritenendo che potessero entrare senza alcun permesso lui li scacciò. I Gana si lamentarono con Shiva del fatto e Shiva alquanto scocciato per l’impudenza di questo nuovo guardiano che non teneva conto della sua posizione di “padrone di casa” ordinò al suo esercito di dargli una buona lezione.
Ma i Gana furono sconfitti, allora Shiva andò lui stesso alla testa di tutte le sue orde ma anch’egli fu sconfitto. Allora umiliato si recò a chiedere aiuto a Vishnu, il protettore, ed assieme a lui si recò con tutti gli eserciti degli dei a combattere contro il figlio di Parvati. Vishnu e Shiva assieme lo affrontarono e mentre Vishnu lanciava il suo disco e il giovane lo deviava Shiva colse l’attimo di disattenzione e lanciò il suo tridente e così decapitò il giovane.
Parvati fu molto disturbata dal quanto avvenuto e si rinchiuse nelle sue stanze rifiutandosi di
incontrare Shiva. Si annunciava così la fine del mondo, perche Shiva (Coscienza) e Shakti (Energia) debbono essere sempre uniti. Shiva infine chiese ammenda e Parvati acconsentì a riappacificarsi con lui ma pretese che il figlio ritornasse in vita. Shiva accettò dicendo che in questo modo avrebbe sancito la sua paternità, riportandolo cioè in vita, e ordinò che venisse presa la testa della prima creatura incontrata dai Gana.
Lì fuori c’era l’elefante sacro veicolo di Indra (il capo degli dei) e gli fu tagliata la testa e posta sul cadavere del ragazzo che improvvisamente rivisse. Ovviamente Shiva riportò in vita anche l’elefante sacro e poi conferì al giovane, ormai suo figlio, il comando di tutti i suoi Gana, infatti Ganesh significa
comandante supremo dei Gana.
Con questo gesto si trovò un accordo fra il matristo ed il patriarcato, infatti in India la donna ha una posizione di rispetto che in altre parti del mondo le manca.
Paolo D’Arpini
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