mercoledì 20 settembre 2017

Satori - Il vuoto dell'io e la conoscenza di Sé...


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La Conoscenza del Sé, in termini zen definita "satori",  non è descrivibile a livello intellettuale, quindi tentare di darne qui una descrizione è azzardato e fuori luogo. Allo stesso tempo è importante fare chiarezza su questa "conoscenza" che non comparabile alla comprensione empirica, anche se non esclude questa comprensione (basata cioè sulla percezione sensoriale).

Possiamo dire che l'auto-conoscenza o satori non è una intuizione e nemmeno il risultato di un ragionamento religioso, non è una oggettivazione e nemmeno una trascendenza. Non è un senso di onnipresenza anche se l'unico agente presente è l'Io.


L'auto-conoscenza è lo stato "naturale" dell'intelligenza-coscienza in cui sia il soggetto che l'oggetto si fondono nell' "esperienza" di un continuum inscindibile,  in cui pur permanendo la consapevolezza questa non è suddivisa in opposti e diversità. Non è quindi una condizione di "vuoto", nel senso che solitamente noi diamo a questo termine in quanto "assenza",  però è effettivamente il vuoto dell'io  (ego) che tende a rapportarsi con le sue stesse proiezioni di "tu, egli,...", etc.

Questo Sé è la luce interiore che disperde le tenebre dell’ignoranza. Colui che conosce il Sé, quindi, non è una persona ma la pienezza dello stato indifferenziato della coscienza, in cui cessa ogni dualismo, ed in cui essa risiede pienamente nella propria natura.


Ciononostante finché la mente umana è preda dell’ignoranza e si identifica con uno specifico nome e forma  (la persona che  immaginiamo di essere) è necessario per noi compiere un processo di ricomposizione (che viene definito “yoga” o "pratica spirituale").  L’energia -o consapevolezza- che consente il risveglio  alla nostra vera natura viene chiamata “guru”  o "maestro" o "grazia" e può manifestarsi davanti a noi  in una forma  per compiere l’alchimia del riconoscimento di Sé, ma  questa non è propriamente separata o altra da noi, essa  è come un personaggio del nostro sogno che provvede a risvegliarci a noi stessi.


Facciamo l’esempio del sogno poiché è il più vicino alla similitudine della dimenticanza di noi stessi, in quanto pura coscienza.  Infatti quando noi sogniamo vediamo innumerevoli personaggi alcuni in antitesi con altri ma realmente essi sono tutti lo stesso sognatore. In questo  sogno -chiamato il divenire- compiamo un percorso nello spazio e nel tempo, un processo trasmutativo della coscienza individualizzata, che in altri termini potremmo anche definire trasmigrazione o metempsicosi.

Rifletteremo ora su questo processo, su questo continuo trasformarci in nuove forme e nomi, il samsara.
Il motore del samsara è il karma -o azione- ma  forse sarebbe meglio dire che è la propensione a compiere l’azione… Secondo la teoria della reincarnazione  il destino di questa vita  è la maturazione del karma più forte delle vite precedenti, con ciò non esaurendo la possibilità di future nascite con altri karma che abbisognano di una diversa condizione per potersi manifestare. Il modo per creare ulteriore karma viene individuato nell’atteggiamento con il quale viviamo la vita presente, ad esempio se  emettiamo pensieri di scontento od eccessivo attaccamento verso gli eventi vissuti.

In se stesso il destino della vita presente  non cambia sulla base degli sforzi da noi compiuti mentre lo stiamo vivendo, è come  un film che sta già nella pellicola,  quindi pensare di modificarne il  contenuto (una volta iniziata la proiezione) è irreale. Possiamo essere consapevoli ed accettare il film -come attenti testimoni- oppure arrabbiarci e commuoverci al suo scorrimento desiderando di modificarne gli eventi con la mente... e così si forma il nuovo karma…
Paolo D’Arpini

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