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domenica 25 gennaio 2015
In memoria di chi mostrò la via...
La vita è un fenomeno quotidiano molto pratico e concreto, fatto di
azioni che derivano da scelte che derivano dal pensiero. Così, penso
che cercare di avere un buon pensiero utile a governare al meglio le
proprie azioni nel mondo del "prossimo" (che è poi il mondo più reale
di cui disponiamo) porti ad un miglioramento della qualità della vita,
la cui natura fondamentale, dal mio punto di vista, è quella di essere
fonte di felicità, a meno che non la si rovini, beninteso. Considero
la felicità come uno stato naturale dell'essere, e l'infelicità come
un turbamento dell'equilibrio naturale, non il contrario, benché
questa mia posizione sembri risultare culturalmente minoritaria.
Nel mondo in cui attualmente viviamo godiamo di una quantità di
libertà di scelta spesso inferiore alle aspettative e desideri di
molti, e tuttavia certamente maggiore di quella che è stata nel corso
di secoli passati, quando nelle nostre medesime terre i sovrani,
civili o religiosi che fossero, godevano a volte persino del diritto
di vita o di morte sui sudditi, financo riguardo semplici delitti di
opinione.
Se le cose sono cambiate in meglio (anche se non a sufficienza) lo
dobbiamo al lungo scontro svoltosi tra la libertà di opinione e
coscienza da un lato, specialmente in campo scientifico, e l'arbitrio
dell'autorità dall'altro lato, uno scontro svolto da persone come
Giordano Bruno, Galileo Galilei, Baruch Spinoza, e, successivamente,
tanti altri..
Sappiamo che Bruno, Galileo, Spinoza, privilegiarono senza dubbi, la
propria coscienza, intesa come il corpus di conoscenza cui erano stati
condotti dall'osservazione e riflessione, rispetto all'obbedienza
verso l'autorità costituita.
Bruno si trovò a pagare tale scelta con la morte, assassinato dalla
Inquisizione cattolica sul rogo, Galileo, ad opera dello stesso
tribunale, subì la censura e gli arresti, Spinoza, perseguitato dal
tribunale ebraico (che gli inflisse il "cherem maggiore", la più grave
e pericolosa maledizione pubblica), si adattò a pubblicare in forma
anonima, sfuggendo fortunosamente, tuttavia, ad un tentativo di
assassinio.
Il medesimo loro problema si ripete oggi in ogni caso di conflitto tra
coscienza individuale ed autorità istituzionale: si tratta di
scegliere, come osservò Erich Fromm, tra obbedienza a sé stessi o agli
altri.
Va sottolineato che l'obbedienza a sé stessi, ovvero ai propri sinceri
convincimenti, è indice di sanità e benessere psichico, mentre
l'obbedienza ad altri in contrasto con la propria coscienza è indice
di malessere psichico, nonché rischioso generatore di nevrosi.
Pertanto la prima scelta è sempre consigliata, ad onta di ogni e
qualsivoglia sistema ideologico istituzionale religioso, politico o
filosofico che sia in potenziale contrasto con la coscienza.
Cinquant'anni fa don Lorenzo Milani, parroco di un paesino di
montagna, ebbe a scrivere "L'obbedienza non è più una virtù", ed anche
lui si trovò ad affrontare le spiacevoli conseguenze della sua scelta,
affrontando un processo, ma aveva ragione, salvo un limite per
difetto: non lo è mai stata. L'obbedienza non è mai stata una virtù,
salvo il caso specifico particolare dell'obbedienza a sé stessi,
l'unica sana, l'unica accettabile alla ragione.
Sarvamangalam
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