Fermati!
«La situazione è più grave di quella che avverte l’opinione pubblica...»
Dopo più di un anno, spazzando piazza Tahrir, i venti della Primavera
araba hanno portato l'Egitto alle elezioni presidenziali, seguiti ad
un intero trentennio dominato dalla figura di Hosni Mubarak. Il
ballottaggio tra i candidati si terrà a metà giugno, ma alle sommosse
popolari che hanno scosso la terra del Nilo manca ancora molto per
poterne parlare come di una rivoluzione compiuta. Da Il Cairo,
passando per gli indignados spagnoli e il movimento Occupy Wall
Street, la crisi economico-finanziaria ha unito i giovani e gli
emarginati dalla società dei consumatori in un movimento di protesta,
che però - dopo una serie di successi - rischia di spegnersi e
frammentarsi come troppo spesso è accaduto in passato.
Che cosa vogliono i manifestanti? Sicuramente il loro è un grido
contro qualcosa, e faticano a definire con che cosa sostituire quel
qualcosa, dopo il cambiamento. C'è da capirlo, se anche i vertici
politici mondiali hanno ormai abdicato il ruolo di guida a favore
dell'ideologia del mercato, e adesso che le cose vanno più storte del
previsto si trovano senza sapere come muoversi. La mancanza di
concreta propositività nei manifestanti si accompagna però ad un
desiderio netto, più o meno consapevole: «cercano solidarietà» -
spiega Zygmunt Bauman coadiuvato dalla traduttrice
Marina Astrologo dal palco del Festival Dialoghi sull'uomo -
mentre adesso la nostra società «è una fabbrica di
sospetto e conflitto permanente, dove vige l'aspettativa che
dall'altro non può che arrivarti solo qualcosa di molto spiacevole, se
non dannoso».
Ma che cos'è la solidarietà? È diversa dalla tolleranza, che implica
il sentirsi superiori a chi abbiamo di fronte, ma decidere comunque di
concedergli la propria benevola accettazione: «Chi tollera si sente
superiore all'altro, e ha semplicemente deciso di non farglielo
pesare. Solidarietà è ciò che è contrapposto alla solitudine e al
senso d'abbandono, è il non dover contare solo sulle proprie forze, è
la voglia di sentirsi parte di qualcosa di più grande, di combattere
per una causa comune». Non è affatto un desiderio da trascurare, in
quanto si sta rivelando il motore del cambiamento: se questo arriverà
o meno a compimento, però, a nessuno è ancora dato saperlo.
«Questo è un grande problema, ed io temo di non avere affatto tutte le
risposte - precisa Bauman. Quali sono le conseguenza di lungo periodo
di un movimento sociale totalmente nuovo, quello che sta sorgendo
sotto i nostri occhi? Siamo di fronte ad un'alternativa molto netta. O
si sta aprendo un nuovo capitolo per la storia del nostro pianeta, o
siamo davanti solo a una grande carnevalata. Sappiamo infatti qual è
il significato del carnevale: raccogliere le forze smarrite
sbarazzandosi per un periodo più o meno breve di tutte le regole e le
routine oppressive che ci circondano, per poi però far tornare
semplicemente tutto come prima».
La domanda che dovremo porci è, dunque, che probabilità ha la
solidarietà per affermarsi qui e ora nella nostra società, e che cosa
dovremmo fare per aiutare che questa affermazione diventi possibile.
«Il sociologo Richard Sennet ha cercato di elaborare una riedizione
dell'Umanesimo contestualizzata nel nostro secolo - argomenta Bauman -
e la sua risposta è tripartita: parla della necessità, per un umanista
dei nostri tempi, di una cooperazione informale ed aperta. Informale,
perché le regole devono uscire dal dialogo stesso; aperta, perché
senza aspettative predeterminate, ha apertura verso chiunque voglia
partecipare. Infine, Sennet parla di cooperazione perché bisogna
abbandonare il sogno di vedersi vincitori davanti ad un perdente:
tutti escono arricchiti dalla collaborazione: verificate voi stessi se
questa collaborazione funziona oppure no», è l'augurio e l'invito di
Bauman.
Un invito non da poco, data la portata delle sue implicazioni: «La
situazione è più grave di quella che avverte l'opinione pubblica -
continua il sociologo - In questi anni si sta decidendo un futuro a
lungo termine, che varrà per i prossimi dieci o venti anni, o per una
vita intera».
Ci troviamo di fronte all'esigenza pressante di un cambiamento da
guidare, con l'arduo obiettivo che ci chiede di conciliare benessere e
progresso umano con la sostenibilità della nostra vita sul pianeta.
Dalla società del consumo potremo passare a quella della
sostenibilità? Alla domanda di greenreport, Zygmunt Bauman risponde
che «Dovremmo farlo, sono totalmente d'accordo. Il problema non è se
questo sia possibile, il problema è che non va bene il punto di
partenza - la società di consumi - per raggiungere quest'obiettivo, ma
ovviamente ne abbiamo un altro da cui muoverci. Mi piacerebbe molto
che saltasse fuori una soluzione a questi problemi, ma io al momento
non riesco a vederne.
La società dei consumi è ostile, avversa alla sostenibilità: stiamo
consumando troppo, esaurendo le nostre risorse naturali, e la crisi
del debito è proprio la conseguenza dell'orgia del consumo. Non
spendere sopra le nostre possibilità sarebbe un consiglio che darebbe
qualsiasi nonna. Soprattutto però ci siamo dimenticati ogni sistema
alternativo al modello del consumo per uscire da questa crisi. L'unica
risposta che ci viene offerta è quella della crescita del Pil, di
tornare a consumare di più. Dobbiamo trovare i mezzi per la felicità
umana in modi che non comportino il consumare, consumare, consumare;
sembra l'unica cosa che riusciamo a fare. Occorre piuttosto darsi
vicendevole assistenza, perché è l'unica cosa che ci fa sentire più
sicuri: sembrerò forse un utopista, ma siamo di fronte ad un prendere
o lasciare».
Luca Aterini
(Fonte: Green Report)
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