Bersani ed il gioco delle tre carte
La proposta del vertice del PD per il dopo elezioni è quella di un patto di governo tra progressisti e Terzo Polo di centro. Bersani a Piazza S. Giovanni ha sostenuto che la parola d'ordine dovrà essere “ricostruzione”, cioè mettere mano alla legislatura con una serie di riforme, un “patto costituente“ dalle maglie larghe e senza paletti ben precisi e proprio per questo ambiguo e pericoloso sia per le garanzie democratico-costituzionali che per i diritti economico-sociali. Si tratta di un pasticcio centrista, una svolta autoritaria presa senza che sia stata consultata la base e neppure discusso nelle sedi opportune. Lo scopo è andare incontro alle pulsioni anticostituzionali e al neoliberismo antipopolare del Terzo Polo, rappresentante dei poteri forti in Italia (Banche, Confindustria, alte gerarchie Vaticane ecc). Decisamente contraria a questa svolta è la corrente progressista del senatore Ignazio Marino e, secondo i sondaggi, tutta la base del Pd, perché sacrifica la propria identità optando per un becero trasformismo.
Per Fini e l’Udc infatti la lettera ultraliberista della Banca Centrale Europea è la base programmatica; Fini per 15 anni ha votato le leggi ad personam pro Berlusconi, ha avallato tutte le porcherie di quel governo, la legge Gasparri che consacra il monopolio Mediaset, i tagli orizzontali di Gelmini e Tremonti, gli attacchi ai diritti dei lavoratori di Sacconi, le avventure guerrafondaie in Afghanistan. Egli rappresenta una destra gaullista, neo-gentiliana, un neoliberalismo autoritario incentrato anche su Presidenzialismo e nazionalismo guerrafondaio. Fini è quello del massacro di Genova del luglio 2001, quello della legge sull’immigrazione che raccoglieva firme nei gazebo contro i migranti, che nei comizi a Mirabello l’anno scorso rivendicava come antecedente ideale Almirante (il fucilatore di partigiani) e faceva tributare un’ovazione a Mirko Tremaglia, volontario repubblichino non pentito.
Casini e i suoi furbacchioni strizzano l'occhio ora a destra ora a sinistra e sempre al miglior offerente, per prendere poltrone nelle spartizioni. L’UDC è quella che da più parti veniva definita Unione Dei Condannati per l’alto numero di inquisiti e pregiudicati per reati infamanti lì presenti. L’UdC ha sostenuto una legge scudo per salvare Berlusconi dai processi, ha perpetrato l'aggressione sistematica alla magistratura e alla Costituzione, ha votato le peggiori leggi ad personam, è stata favorevole al nucleare e alla privatizzazione dall’acqua, ha posizioni di liberismo selvaggio in materia economica, approva i finanziamenti anticostituzionali alle scuole private e rasenta l’oscurantismo Medioevale su tematiche importanti quali: fine-vita e bio-testamento, scienza embrione e legge 194 sull’interruzione di gravidanza, pillola, coppie di fatto, laicità dello stato, diritti degli omosessuali e legge 40 sulla fecondazione assistita.
Come può una sinistra progressista ricercare alleanze simili? Non scordiamoci che l'Unione fallì anche in quanto coalizione disomogenea, che cercava di tenere tutti dentro e non riuscì a governare il Paese, aprendo il campo al ritorno di Berlusconi e dei suoi lanzichenecchi!
CHIAMIAMO IL TECNICO?
Sembra probabile che nei prossimi giorni il governo Berlusconi non avrà più i voti in Parlamento per governare. Si aprirebbero allora 2 scenari: o elezioni anticipate entro 2-3 mesi, oppure un governo di transizione, di "larghe intese", sostenuto da un'ampia maggioranza in Parlamento: parte del PDL, Terzo Polo e PD, mentre Italia dei valori vorrebbe condizioni ben precise, e Vendola è contrario. A comporre il governo sarebbero dei “tecnici” mentre a presiederlo sarebbe Mario Monti e dovrebbe fare una riforma elettorale e prendere misure per l’emergenza economica. Ma il punto è proprio questo: quali misure sarebbero prese per uscire dalla crisi? Chi pagherà? I governi “tecnici”, quando devono fare certe scelte, sono in realtà sempre politici. Il Terzo Polo di Fini Casini e Rutelli ripete come un mantra che “servono scelte impopolari” e dice di voler applicare la lettera che ci ha inviato la Banca Centrale Europea in agosto, quella che chiedeva di tagliare le protezioni sociali, le pensioni, impiegati pubblici e stipendi, di eliminare tutele dai licenziamenti e lo stesso contratto nazionale di lavoro, privatizzare i servizi pubblici e svendere beni e patrimoni collettivi. Un governo di tal fatta servirebbe solo a rendere più accettabile l'opera di macelleria sociale cambiando il macellaio.
Certo Bersani sabato al comizio ha parlato di tagli dei costi della politica, di una fortissima lotta all'evasione fiscale, di far pagare chi ha, ma che certezza c’è che il PD, magari sotto la pressione dei mercati e dell’UDC, non finisca per fare da stampella a quel governo con l’unico scopo di tenere buona la sua gente e far ingoiare le misure antipopolari richieste a gran voce dal Terzo Polo da Confindustria e dalla BCE? Il rischio è forte, dal momento che anche gli ultraliberisti presenti nel PD, da Enrico Letta a Morando a Veltroni, Tonini, Renzi la lettera della Bce la giudicano nientemeno che “irrefutabile”. E sbagliano, perchè trascurano il fatto che a fissare i tassi di interesse (variabile chiave per la sostenibilità del debito pubblico), non sono i mercati bensì le banche centrali, se lo vogliono, e perciò se il nostro Paese è costretto a pagare ben 100 miliardi di euro l’anno di interessi sul debito dipende dal fatto che, come sostengono economisti del calibro di Krugman, De Grauwe, Wyplosz, Tabellini, Benigno, oltre a Stefano Fassina ed altri esponenti del PD, la Bce non agisce come banca sovrana dei paesi europei, da prestatore illimitato di ultima istanza, così da portare i tassi sui debiti di tutti i paesi europei circa ai livelli tedeschi e creare disavanzi di bilancio necessari al sostegno della domanda aggregata e della crescita.
Ma anche Bersani sabato in piazza S. Giovanni ha parlato di mettere mano alle pensioni di anzianità per alzare l’età effettiva in cui si va in pensione, nonostante la CGIL abbia dimostrato, dati alla mano, che l'età effettiva di pensionamento degli uomini in Italia è di 61,1 anni, cioè poco meno che in Germania (61,8) e addirittura più che in Francia (59,7); per le donne il nostro dato (58,7) è inferiore sia a quello tedesco (60,5) che a quello francese (59,7), ma la parificazione della loro età di pensionamento a quella maschile da poco decisa eliminerà rapidamente il divario e addirittura lo invertirà.
Sono sconcertanti queste proposte, per le stesse forze dell’alternativa, per gli interessi dei lavoratori!
Perché non si ascolta l’ala social-riformista del PD (quella rappresentata da Stefano Fassina, responsabile economico), impegnata nel cercare di analizzare le cose con buon senso per dare una giusta risposta a questa crisi economica? È l’unica a capire che l’adesione alla lettera della BCE è suicida per la forza di riferimento dei ceti popolari italiani.
Quali garanzie ci sono dunque che un governo “tecnico” non faccia politiche di austerità antipopolari? Si può rischiare questo solo per avere una diversa forma elettorale?
Franco Pinerolo
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