Frammenti d'infinito - Dipinto di Franco Farina
Seguito del viaggio nell’Immigrazione….
Kuki è un nome di fantasia che questo straordinario ragazzo indiano si è
attribuito per facilitare chi lo chiama, ma il suo vero nome è Dipak. La
generosità e la solarità che lo caratterizzano, gli hanno consentito di poter
contare su un numero veramente grande di amici, italiani e non, che ancora oggi
lo cercano volentieri.
Quando Dipak lasciò l’India molti anni fa, purtroppo dovette farlo senza
essere riuscito a procurarsi un visto per l’estero. Come molti sanno, lasciare
l’India non è affatto semplice per gli indiani! In quelle condizioni le
alternative per espatriare non erano poi molte! Decise così di tentare una
traversata a piedi. Riuscì a raggiungere la ex Jugoslavia camminando per circa
3 mesi ininterrottamente, raggiungendo una delle città del nord Italia. Era
ridotto pelle e ossa, magro da morire e con una fame incredibile, sporco dalla
testa ai piedi, ma con la speranza nel cuore di riuscire ad entrare in Italia,
il Paese del benessere, della pace e della speranza in un futuro migliore!
Così, appena arrivato, tramite alcuni amici indiani conosciuti per caso, Kuki
si spostò verso la Sabina, nel Lazio, e lì ebbe la fortuna di incontrare un
giovane imprenditore edile che lo prese con sé e lo regolamentò anche con i
documenti, in vista del decreto per i flussi migratori che sarebbe uscito dopo
pochi mesi.
Vorrei ricordare che l’attuale legislazione prevede che un datore di lavoro
faccia una richiesta per un lavoratore che si trova all’estero completamente al
buio, non conoscendolo e non sapendo neppure se il futuro lavoratore sarebbe
idoneo o meno al lavoro che dovrà svolgere! Nel caso dei domestici, ad esempio,
senza un tirocinio o un piccolo corso formativo, è veramente impossibile
svolgere quel lavoro, in quanto la nostra cultura domestica rispetto a quella
indiana è veramente lontana anni luce! Senza contare, infine, che lo straniero
arriverebbe nel nostro Paese dopo più di due anni dalla richiesta e senza
conoscere una sola parola di italiano! Questo eccessivo ritardo, nel caso dei
badanti è un grosso problema poiché il lavoratore, secondo l'attuale meccanismo
legislativo, potrebbe arrivare in Italia quando il paziente è già morto, ed è
già accaduto in molti casi!
Ma torniamo a Dipak.
Il lavoro quindi c’era, ma per avere il permesso di soggiorno fu costretto ad
attendere altri 2 anni, periodo in cui, risparmiando e sacrificando qualsiasi
cosa, riuscì a mettere da parte un gruzzolo sufficiente a far venire la sua
famiglia in Italia: una moglie e due bambini. Mi ricordo che aveva preso in
affitto una piccola casetta che imbiancò da cima a fondo! Fu proprio in quell’
occasione che lo conobbi. Era veramente felice di poter finalmente
riabbracciare i propri cari che non rivedeva da anni! Mi ricordo che il
bambino, che era piccolissimo quando Dipak partì dall’India, quando lo vide all’
aeroporto di Fiumicino non voleva neppure abbracciarlo perché lo riteneva uno
sconosciuto e ci vollero un po’ di giorni per abituarsi a questo padre!
La moglie di Kuki, infermiera in India, naturalmente quando arrivò non parlava
una sola parola di italiano, tuttavia grazie ai numerosi amici di Dipak, si
riuscì a trovarle una sistemazione vicino casa come badante il pomeriggio
presso un’anziana signora, così da permetterle la mattina di accudire i propri
bambini. Per circa un anno ci trovammo spesso insieme a casa mia, (che in quel
periodo era diventata una specie di scuola anche per i ragazzi mie vicini,
cercando di insegnar loro a parlare italiano, pur non conoscendo io stessa una
sola parola della loro difficilissima lingua!). Poi Dipak un giorno mi disse
che un caro amico gli aveva trovato un ottimo lavoro presso un’impresa edile
vicino Brescia, con uno stipendio decisamente migliore rispetto a quello
attuale. Così partì con la sua famiglia e quella fu proprio una separazione
molto dolorosa per tutti noi, a cominciare da me! L’ultima sera però
organizzammo una grande cena indiana con tutti i ragazzi, e Dipak cucinò alcuni
piatti tipici del suo Paese, molto piccanti a dire il vero, ma buonissimi!
E fu così che si sistemò veramente bene nella nuova città dove andò a vivere
con la sua famiglia! Lui in ditta e sua moglie come badante, riuscirono a
comprarsi una piccola casetta richiedendo un mutuo, acquistarono perfino un’
automobile usata! Occorre dire che l’essere riusciti a guidare una macchina in
Italia, per i ragazzi indiani è la cosa più difficile del mondo!
La patente indiana in Italia non è riconosciuta e per avere quella italiana occorre saper leggere bene l’italiano o anche l’inglese per sostenere l’esame, cosa che
nessuno di loro è in grado di fare! Ma Dipak riuscì anche in questo! Ancora
oggi mi capita di sentirli al telefono, soprattutto la bambina mi aggiorna
sulla loro vita, con un accento italiano che è proprio quello del nord, ma la
loro cultura tuttavia rimane sempre quella indiana nonostante la loro ottima
integrazione nel nostro Paese! Per fare un esempio, le donne da sole non
viaggiano mai, devono essere accompagnate da un uomo, o i capelli lunghi
raccolti in treccia che le donne non tagliano mai, e tante altre cose che
comunque ti fanno dire che forse non saranno mai italiani al 100%, pur vivendo
nel nostro Paese.
Conobbi questa famigliola tramite uno dei ragazzi che abitavano sotto casa
mia, Sonu, un giovane ragazzo indiano bellissimo, occhi profondi ed espressione
da furbetto, che arrivò nel nostro Paese nascosto nell’intercapedine di un
camion dove rimase per 3 giorni senza mangiare né bere! Ma questa è un’altra
storia……
…..continua
Lidia
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