Nell'immagine "Il castello degli gnomi" di Franco Farina
La Valtellina tornerà ad essere parte della Confederazione Svizzera? Se così fosse, è prevedibile un'ondata migratoria italica verso di essa ...
Come cambia velocemente il clima geopolitico. Solo un anno fa la Svizzera pativa minacce da Gheddafi che proponeva di dividerla tra Germania, Francia e Italia, e allo stesso tempo il settore finanziario elvetico subiva pressioni internazionali contro l’anonimato dei propri conti bancari. Oggi invece, anziché essere assecondato in modo servile a Roma, Gheddafi conta i suoi ultimi giorni in un bunker a Tripoli, e intanto il franco svizzero vola perché i capitali di mezzo mondo cercano rifugio lontano dalla politica monetaria inflativa dell’euro e del dollaro.
Nella sua storia secolare la confederazione elvetica ne ha visti di Gheddafi, questi paladini del centralismo, che con la stessa potenza e vita breve di una fiammata, prima spiccano e poi si estinguono data la loro instabilità e l’insofferenza che provocano tra la propria gente. La Svizzera, con la sua democrazia diretta, il suo decentramento fiscale, la sua neutralità, non ha mai prodotto carismatici leader maximi però è stata in grado di garantire benessere e stabilità secolare alla propria cittadinanza. In questo periodo di crisi il modello svizzero è visto come punto di riferimento dai propri vicini, se non addirittura con nostalgia e rimpianto. Questo perlomeno è il recente caso della Valtellina, oggi la provincia italiana di Sondrio.
Dopo la manovra taglia enti locali di Ferragosto, il presidente della provincia di Sondrio ha reagito dichiarandosi a favore di un referendum per confluire in Svizzera. Poco importa se i leader maximi da Roma l’hanno rabbonito con un cavillo che risparmierebbe l’eliminazione di questa provincia di confine. Il punto è che i 180 mila abitanti della Valtellina, a differenza dei vicini del cantone dei Grigioni, sono alla mercé degli umori di una capitale distante. Berna non si sognerebbe mai di eliminare un terzo dei comuni del cantone dei Grigioni, perché là il comune è considerato come l’espressione di rappresentanza politica più vicina al cittadino, sovrastante e non subalterna a Berna. Casomai sta ai cittadini di quei comuni decidere se conviene accorparsi o no. Invece, con una disperata manovra estiva, Roma ha deciso di eliminare più di un terzo (29 su 78) dei comuni in provincia di Sondrio, risparmiando si e no, tra stipendi di sindaci e assessori, 600 mila euro all’anno, l’equivalente dell’intoccabile stipendio annuo di quattro parlamentari. Come i parassiti in difficoltà, anche lo stato centralista sacrifica prima le appendici per la sopravvivenza del nucleo centrale.
All’idea di voler votare per passare in Svizzera, nessuno ha reagito invocando l’attentato all’unità nazionale, dato che dal 2006 non è più reato ed è ora possibile perseguire questo diritto all’autodeterminazione tutelato dalla comunità internazionale. Al presidente della provincia di Sondrio basterebbe seguire il percorso delineato dagli scozzesi e fregarsene di Bossi, Berlusconi e Tremonti. Il parere che conta è quello dei 180 mila cittadini della provincia di Sondrio, e non degli impresari di partito italo-padani. In Scozia lo Scottish National Party (SNP) quest’anno ha ottenuto la maggioranza assoluti di voti, e nel 2015 voteranno per la completa indipendenza politica della Scozia dalla Gran Bretagna, con Londra che ha già dichiarato che dovrà rispettare l’esito di questa espressione democratica. Per la Valtellina questo sarebbe un passaggio naturale, perché l’affinità culturale e linguistica che hanno con i vicini Grigioni è proprio dovuta al fatto che dal 1512 al 1797 ne fecero proprio parte. Fu Napoleone a strapparla dalla Svizzera per annetterla al suo Regno d’Italia. Al Congresso di Vienna del 1814-1815, che doveva ripristinare l’Europa ai confini pre napoleonici, gli svizzeri si fecero sentire, ma come per il Veneto, anche la Valtellina rimase Austriaca per poi passare mezzo secolo dopo in mano ai Savoia.
Forse per Sondrio sarà meno difficile innescare il percorso democratico verso un referendum per autodeterminare il proprio futuro. Un ritorno alla Svizzera deve per forza essere percepito come culturalmente naturale, oltre che economicamente vantaggioso. Forse sarà da lì che anche le comunità montane venete, e i loro rappresentanti politici, capiranno che è inutile aspettare qualcosa per bontà di un potere centrale. Impariamo ad essere cittadini e non sudditi, prendiamo esempio dagli svizzeri, perché basta solo volerlo.
Lodovico Pizzati
Fonte: Movimento Libertario http://www.movimentolibertario.it
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