La storia della vite e del suo nettare, il vino, si perde nei tempi lontani, anche se oggi, nei tempi moderni, possiamo quasi scientificamente individuarne il luogo di origine della vite coltivata, che la sua comparsa in Europa con l’avvento del ferro. La storia della vite sembra sia strettamente collegata al diluvio universale citato nella Bibbia, difatti dopo questo evento, in cui l’arca di Noè si arenò sul monte Ararat, vicino alla Georgia, si tramanda che proprio su questa montagna Noè piantò la vite. Diventò così il primo “viticoltore” apparso nel mondo dal
Libro della Genesi. Per chi non crede,può sembrare assurdo ma…. Noè all’inizio fu un agricoltore, lavorò la terra e vigne. Un giorno bevve il vino prodotto da lui e si ubriacò.
Da questo fatto si fa partire l’inizio della viticoltura, sia come evento archeologico che religioso. Sappiamo quindi con certezza in base a molti reperti archeologici trovati nell’area, che la vite è stata coltivata in Mesopotamia, in Medio Oriente e successivamente nel Mediterraneo, dove sono sorte grandi civiltà ideatrici di scrittura mitologica e cultura. In pratica si sarebbe diffusa, la vite una droga inconscia nel modo seguente: Mesopotamia, Turchia, e poi Creta Cipro e Grecia,Magna Grecia, Corsica ed infine Francia Meridionale.
Il Mediterraneo orientale è quindi l’origine della viticultura. Il merito della sua selezione e diffusione spetta ai popoli mediterranei che da un lato selezionarono la vite selvatica, e dall’altro la impiegarono in modi diversi, a seconda del clima e del terreno, usando la vite coltivata, giunta dall’Oriente nei loro paesi, per merito delle comunicazioni allora accessibili ma principalmente per mari e per fiumi.
Un fattore discutibile è il fatto che a detta di informazioni raggiungibili tramite internet, il popolo principale che ha contribuito alla diffusione della vite, è certamente quello ebraico.
Nella Bibbia infatti la vite ed il vino vengono citati innumerevoli volte. Quando gli Ebrei furono costretti ad emigrare in Caldea e Mesopotamia, portarono con loro dei tralci di vite da piantare e contribuirono così alla diffusione della viticoltura in Mesopotamia. Nella tradizione Ebraica l’albero della vita è rappresentato dalla vite. Dalla Palestina alla costa entrarono in scena i Fenici, popolo rappresentato da navigatori e commercianti che introdussero tra le loro
merci da vendere nei porti del Mediterraneo, i vini dell’Armenia, di Siria e della Palestina come pure piantine di vite.
Può sembrare curioso, ma il luogo dove la viticoltura greca si sviluppò maggiormente, non fu il suolo della patria, ma la Magna Grecia, cioè L’Italia, chiamata dai Greci “terra del vino” (Enotria). Alla patria di Omero dobbiamo quindi la cultura del vino. Sibari, con il suo porto,era il principale mercato, si narra che per facilitare il carico delle navi, fossero dei veri e propri enodotti costruiti con tubi di argilla, entro i quali il vino defluiva dalle colline circostanti direttamente all’imbarco evitando così il passaggio del porto.
Per quanto ci si possa credere, già allora c’era in casa chi se ne intendeva un po’: gli Etruschi, popolo la cui origine e la lingua è avvolta ancora nell’incertezza. La loro viticoltura si diffuse nell’Etruria Centrale, contrapposta a quella asiatica e greca, coltivano la vite ad alberata secondo un uso nordico, che non pensava di far scendere e staccare la vite dall’albero, potandosela e tenendola a sé stante. Sul suolo italiano assistiamo così, quasi per destino a tre diversi avvenimenti: I primi insediamenti greci nella Magna Grecia, (Campania, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia ) intorno al 700 a.C. fondazione di Roma 753 a.C. e la formazione delle prime comunità etrusche sempre intorno al 700 a.C. Tra questi la vinse Roma , che attraverso storie parallele di continui intrecci tra la viticoltura greca ed etrusca, le assorbì entrambe, prendendo il meglio dell’una e dell’altra mutandone così le rispettive culture vitivinicole.
Fondamentale per l’epoca fu la mitologia, che influenzò gli uomini, la vite ed il vino. Ceera un Dio che presiedeva la viticoltura e l’enologia, c’erano Fufluns in Etruria, Saturno in Sabina, Dionisio in Grecia e Bacco in Italia. Inoltre la bevanda ricavata dall’uva con la sua fermentazione misteriosa, aveva un carattere sacro. Gli inizi per Roma non furono rosei, Plinio ci narra che Romolo, fondatore di Roma, e più tardi il successore Numa Pompilio,faticarono non poco, e con scarsi risultati per diffondere la viticoltura: Quest’ultimo
introdusse la Legge Postunia per proibire di adoperare nei sacrifici agli Dei il vino di vigne non potate. Questo ci fa pensare, che la produzione di vino buono fosse scarsa, e l’uso limitato a occasioni particolari, ed a classi elevate. Di certo nei primi anni della nascita di Roma, il vino fu importato principalmente dal’Etruria dalla Magna Grecia e dalla Grecia.
La scarsa produzione locale, portò le autorità romane a proibire il vino agli schiavi, alle donne, permettendolo solo ai maggiori di 21 anni,e considerando il fatto che all’epoca l’età media era molto bassa, 30, 35 anni, il vino veniva concesso solo agli uomini maturi.
Bisogna però fare una precisazione: parlare di vino al tempo dei Romani può sembrare semplice, dato il millennio di vita del predominio di Roma. E’ indubbio che non sempre gli antichi Romani amarono il loro vino: all’inizio del secolo dell’impero i vini laziali furono scarsamente apprezzati, ad esclusione di Albalonga, Albano e pochi altri come Velletri, Setino di Sezze, il Sabino di Tivoli e dintorni, il Veietano di Veio. Ma la regione che i Romani privilegiarono per il vino fu sempre la Campania, di cui Orazio il poeta ricorda: il Cucubo, il Falerno, il Caleno di cui il più celebre il Falerno. Dopo tanto parlare del vino ci sembra naturale pensare ai Romani che come noi, bevono vini bianchi secchi o frizzanti, vini rossi conservati più o meno lungamente nelle botti. Ed invece no. Anche se il nostro diritto civile si rifà ancor oggi al nostro diritto romano, c’è una cosa che non abbiamo in comune, con i Romani: questa è il magiare e soprattutto il bere. Il vino che bevevano i Romani era allungato con l’acqua oppure conciato. Infatti non era mai bevuto puro, e non era liquido fluido come oggi, bensì era concentrato e simile ad un mosto cotto. Questo perché con la tecnica dei tempi, era impossibile conservare il vino per un periodo abbastanza lungo, senza impedire che il bacterio lo trasformasse in aceto.
Per questo i vini erano prodotti con elevato residuo zuccherino per renderli longevi, venivano bolliti per ridurli, divenivano sciropposi, e si allungavano con acqua, per cui era possibile trasportarli in siti lontani. L’acqua utilizzata era tiepida, meglio se di mare, il vino veniva inoltre resinato o condito con il miele, sale, erbe aromatiche come rosmarino, timo, mirto, ruta, zafferano o spezie come pepe, cannella chiodi di garofano. Ben graditi erano i petali di rose, o essenze di rose. I vini venivano distinti in : debole,molle,aspro, alcolico, pesante, morbido, dolce, pieno e volgare.
Per la conservazione del vino si adoperavano le anfore o recipienti in terracotta che venivano sigillati con argilla, gesso, pece, stracci imbevuti della stessa, in vista di un invecchiamento lungo, che avveniva in cantini ampie, ben areate e fresche. I nostri avi non usavano far invecchiare i vini in botti di legno. Plinio ci narra di un popolo strano nei pressi delle Alpi, che usava conservare il vino in recipienti fatti di doghe di legno; altro non si parlava che dei Galli il cui nome sarà poi utilizzato per indicare il termine gallici i tannini apportati al vino dalla maturazione delle botti. Per finire, il vino veniva anche condito con il garum, un miscuglio di pesce ed erbe aromatiche.
Rita De Angelis
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