Vivendo nella società malsana in cui viviamo gli ottimizzatori finanziari ed i politici europei considerano la prostituzione una voce del PIL, quindi per essi se la prostituzione esiste è meglio "regolamentarla", ovvero "legalizzarla" per un suo miglioramento utilizzativo, esattamente e coerentemente come stanno cercando di fare per il consumo di droga, e cioè: se il tabacco e l’alcol vengono regolarmente venduti e tassati per quale motivo accettare questi e non legalizzare l’altra? Perché mantenere sacche incontrollate di mercato abusivo, di cui si avvantaggia solo la mafia? Meglio che sia tutto legale e controllato… Ma questa è una visione “utilitaristica” che posso comprendere ma non condividere…. A questo punto alla “legalizzazione” preferirei la “liberalizzazione” tout court, soprattutto per le sostanze di carattere naturale (come la canapa, le foglie di coca, il papavero da oppio, etc.)
Ma tornando al discorso della prostituzione, se si sente la necessità della promiscuità sessuale sarebbe preferibile compartecipare ad una famiglia allargata. E questo vale sia per le esigenze di uomini che di donne senza sperequazione alcuna. Insomma nella sessualità e nella libertà personale, che non nuoccia agli altri, ci vuole elasticità, ferme restando le attenzioni per le fasce sociali più deboli, come i minori.
D'altronde se osserviamo le abitudini sessuali dei nostri “consanguinei” primati antropomorfi scopriamo che spesso la promiscuità è preponderante… ed è un fatto perfettamente naturale. Come è naturale, e lo è da tempo immemorabile (sia per l'uomo che per gli animali) l'uso di sostanze inebrianti. Persino nella religione cristiana il vino è considerato elemento sacramentale.
Ma non ha senso legalizzare la pratica prostitutiva solo perché si sente il bisogno di far crescere il PIL, come non ha senso degradare la società attraverso lo smercio "certificato" di droghe od il gioco d'azzardo legale.
Scrivevo in calce ad un mio articolo di ecologia sociale:
“La soluzione per lo scollamento sociale in corso sta nel superamento dei modelli consumistici, in primis, per ritrovare in una socialità allargata nuove espressioni per la solidarietà umana, contemporaneamente abbandonando il permanere nei grandi agglomerati urbani e rinunciando ai parossismi culturali (musiche preconfezionate, televisioni, sport idioti, giochetti virtuali, etc) in modo da ricreare in noi lo stimolo primario della gioia di vita e la capacità creativa per produrre qualcosa che abbia lo spirito del necessario e del bello”.
Paolo D'Arpini