“LA NATO VA
SCIOLTA”.
“LA
NATO ROMPE E NON PAGA MAI”.
RACCONTO DI UNA
PICCOLA AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA (CARTELLO
E DISCORSETTO)
DAVANTI AL VICESEGRETARIO GENERALE DELLA NATO ALEXANDER VERSHBOW E A
MILITARI ASSORTITI , DURANTE LA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DELLE MANOVRE TRIDENT JUNCTURE, AEROPORTO
MILITARE DI TRAPANI, MATTINA DEL 19 OTTOBRE 2015. SUCCESSIVO
RESOCONTO
DELLA CERIMONIA E DELLA MOSTRA DI VELOVOLI DA GUERRA E ALTRE
BELLEZZE. POESIA FINALE, PER UN MONDO POST-NATO.
Un
modello di riferimento inarrivabile, per un’azione diretta durante
un conferenza stampa? Munthazar al Zaidi, il giornalista iracheno che
a Baghdad lanciò le sue scarpe a George W. Bush urlando «in
nome delle vedove, degli orfani e del milione di uccisi in Iraq».
Finì in carcere, e torturato, per quasi un anno: vilipendio di capo
di Stato estero.
Dire
a Vershbow che l’organizzazione è criminale e va dissolta
Ma
qui, all’aeroporto militare di Trapani, il 19 ottobre 2015, sotto il tendone della
conferenza stampa che presenta le esercitazioni Trident Juncture
dell’Alleanza atlantica, quali conseguenze avrebbe avuto il lancio
di una scarpa – senza mirare bene, per carità – contro l’ignaro
vicesegretario generale della Nato Alexander Vershbow? Chissà. Ad
alzare un cartello contro la Nato criminale, non succede nulla. Te lo
tolgono e basta. Sarebbe stata efficace e forse ugualmente non
sanzionata una pioggia di monetine da 5 cent. O come sarebbe stato
accolto uno schizzo con la stella a 4 punte (il simbolo
dell’Alleanza) trasformata facilmente in svastica? Troppo tardi per
pensarci. Non ci sarà un altro accredito stampa, ormai! Non alla
Nato, almeno.
Andiamo
per ordine. Vershbow ripete quel che ha detto poco prima, alla
cerimonia di apertura. La solfa è «le
esercitazioni della Nato sono vitali per la sicurezza, la democrazia
nel mondo, l’autodifesa»;
infatti, «ogni
giorno ci sono nuove sfide; così dimostriamo che possiamo difendere
ogni alleato».
Grandi minacce contro i valorosi paesi membri si addensano infatti
cupe e infingarde. Vengono da Est, «la
Russia si è annessa la Crimea»,
da Sud, «la
Russia è entrata in guerra in Siria»
(che Mosca sia l’unica a combattere con successo contro il
califfato e a farlo autorizzata dal governo locale come richiede
l’Onu – lo h detto forse meglio di tutti famiglia
cristiana
giorni fa -, non importa). E l’Alleanza è estremamente impegnata
contro il terrorismo, visto che «gli
Stati falliti come la Libia e la Siria fanno sì che i gruppi
estremisti avanzino».
Dopo
alcune domande falso-provocatorie da parte di testate italiane ed
estere («Perché
non dite che la Trident guarda alla minaccia da parte della Russia?»)
e le risposte («ma
no non è così»),
ha inizio l’azione diretta. Intanto il microfono ottenuto per fare
la domandina diventa occasione per un sermoncino – scritto sul
notes - rivolto al vicesegretario; quindi in inglese - inutile
parlare ai responsabili italiani. Ecco qua (e chissà se ne è
rimasta traccia): «Lei
ha detto che la Nato combatte il terrorismo, ha anche nominato la
Libia e la Siria come Stati falliti. Ha parlato di autodifesa
collettiva dei membri. Ma in realtà fu proprio, nel 2011, la guerra
della Nato in Libia, travalicando il mandato dell’Onu, a
trasformarla in Stato fallito, a mettere al potere jihadisti e a
contribuire al diffondere di gang terroriste. E sono i paesi membri
della Nato a fare in modo diretto e indiretto guerre che rovinano
nazioni e distruggono; altro che autodifesa. Di recente poi, il
bombardamento per mezz’ora e più dell’ospedale a Kunduz, in
Afghanistan. Allora, nonostante tutto questo tragic
record,
questa storia tragica, come mai la Nato non viene mai incriminata? Al
massimo paga una piccola mancia ai familiari delle vittime… ».
Il parlato è meno chiaro di così, vista la concitazione, ma è
lungo così. Loro lasciano parlare. Devono mostrarsi buoni, non far
scoppiare il caso. L’Italia è democratica, la Nato di più.
Prima
che Vershbow risponda, ecco il cartello alzato, per lui lì davanti e
per le telecamere lì dietro. Su carta quasi velina per nasconderla
meglio in borsa, l scritta è con pastelli a cera ma oleosi, mal
calcolati (sbavano, l’acquerello rende meglio). Su un lato, in
inglese, «Nato
must dissolve»;
sull’altro «Nato
never pays for crimes»
(monco, in effetti, ma chiaro). Ovviamente le mani di un soldato di
vedetta si allungano subito e strappano via l’inelegante intrusa:
la carta, mentre l’attivista sotto mentite spoglie viene lasciata
lì seduta, la Nato è democratica e protegge i civili, anche quelli
ottusi.
Vershbow
risponde compito, come a una vera domanda: «La
Nato in Libia ha protetto i civili, abbiamo agito per evitare una
strage»
(ormai si sa che è tutto falso, ma chi protesta?). Per giustificare
il casino successivo: «Quel
che è successo dopo, è frutto forse di giudizi approssimativi….»
(mis-judgements). Quanto all’Afghanistan, «ci
scusiamo tantissimo per il tragico errore»
(quasi un’ora di errori?); naturalmente «è
in corso un’approfondita inchiesta, e siamo sicuri che non si
ripeterà più».
Mentre
si avvia all’uscita, l’impassibile vice-segretario generale viene
omaggiato, con un altro blitz, della poesia Il
mondo dopo la Nato, «scritta
da un profugo iracheno»
le copie disponibili per i giornalisti vengono invece sequestrate,
«la
leggo io la poesia».
Impatto
mediatico? Contenti i russi. Qualche foto è stata fatta. Alcuni
giornalisti locali nella fretta non hanno visto ma vengono a
informarsi. Il reporter di un’agenzia internazionale che in
passato ha coperto manifestazioni pacifiste a Roma senza però
riuscire a farsi trasmettere, osserva: «In
altri tempi questo dissenso sarebbe costato. Adesso gli rimbalza.
Anzi, aiuta a parlare dell’evento Nato!»
Eppure, se gesti così si ripetessero ogni volta, come zanzare
disturberebbero. Del resto, non è nel farsi arrestare il senso di
un’azione diretta con la quale si irrompe «a casa del diavolo»,
proprio sotto il naso dei guerrafondai e della supponente stampa
mainstream. Il senso è far vedere che sappiamo. Nel racconto di
Andersen Gli
abiti nuovi dell’imperatore,
il bambino è l’unico a dire all’imperatore che è nudo, a
dirglielo in faccia.
Fine
della storia della piccola azione diretta nonviolenta.
Ma
forse a qualcuno interessa anche uno sguardo dal di dentro, sulla
mattinata alla base militare fra cerimonie ed esibizioni statiche e
in volo. Visto che non erano presenti giornalisti anti-Nato. O almeno
non si sono espressi.
Ecco
qua, per la serie «ho
visto cose…».
Al fondo, la poesia.
Antefatto.
Tutti hanno sempre detto che un ente dannoso va sciolto
«Nato,
rest in peace».
«Nato, riposa in pace».
L’augurio più geniale rispetto al destino della macchina da guerra
atlantica risale al 1967: un libro di Paul Martin per la «Campagna
dei giovani per il disarmo nucleare».
E se in Italia tutto sommato possiamo puntare a un «Visto
che è Nato, morirà»,
non era
male neanche «The
Coming Dissolution of Nato»
(«Il prossimo scioglimento della Nato»), titolo di uno scritto
dell’attivista statunitense Albert Weisbord pubblicato da La
parola del popolo
nel 1977. Weissbord sbagliò in pieno. Tempo prima, era stato invece
preveggente l’economista gandhiano J.C. Kumarappa. Pochi anni dopo
la nascita dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico
(Nato) nel 1949 – dunque precedente il Patto di Varsavia - egli
così
scrisse: «Con
il pretesto dell’autodifesa, viene istituita la Nato: per dividere
il mondo in due blocchi. Grazie alla Nato, uno Stato aggressore
riesce a far dichiarare ‘aggressore’ la vittima e a usare contro
questa le armi unificate del grosso energumeno e dei suoi alleati»
(pubblicato in Economia
della condivisione,
Centro Gandhi).
In effetti si
proclama organizzazione per l’autodifesa collettiva ma fa
tutt’altro: negli ultimi anni ha disfatto la Libia, distrutto la
Jugoslavia, fatto danni in Afghanistan. Divora risorse e distrugge.
Non è semplicemente un ente inutile. E’ un ente disutile. E gli
enti disutili vanno cancellati.
La Nato festeggia in
questi giorni i quattro anni dall’uccisione del leader libico
Gheddafi, coronamento di sette mesi di bombardamenti in appoggio ai
«partigiani
rivoluzionari».
La Libia ridotta a failed
state
esporta terrorismo. Ma la Nato non paga mai per i danni. Nessuno va
in prigione se per conto della stella a 4 punte uccide e rade al
suolo. E al massimo le vittime ottengono qualche migliaio di dollari
di mancia. Immunità, impunità.
Ecco perché il
cartello preparato per l’azione diretta non violenta davanti alle
facce dei kapò della Nato e dei remissivissimi
media
aveva due messaggi: da una parte «La
Nato va sciolta» (o dissolta), dall’altro «La Nato non paga mai
per i crimini».
19 ottobre,
accredito alla mega-celebrazione di Trident Juncture. Giornalismo di
pace
Purché
si possa citare qualche testata (anche nient’affatto mainstream),
ci si può far accreditare anche come free-lance, alle conferenze
stampa della Nato, che essendo buona non può censurare volgarmente.
Durante la guerra contro la Libia nel 2011 gli incontri mediatici
si
tenevano a Napoli e a Bruxelles. Un’occasione per porre domande
scomode, ottenendo risposte che erano praticamente autodenunce.
Occasione sprecata. Peccato che i mediattivisti non pensino o non
sappiano di questa possibilità. Una sola domanda cattiva non basta.
Farebbe la differenza una sfilza di astuti perché, da parte di
cinque-dieci giornalisti, ogni volta, in successione. Si chiama
giornalismo di pace.
Ovviamente
se oltre alle domande scomode si alzano anche cartelli di protesta e
si distribuiscono poesie post-Nato, non si otterranno ulteriori
accrediti dallo stesso ente. Dunque, occorrerebbe essere, a turno, in
molti.
Arriva
via email dall’Allied Joint Force Command con base a Brunssum
(Paesi bassi), la risposta positiva alla domanda di accredito per la
«giornalista
indipendente». L’evento sarà il 19 ottobre 2015, aeroporto
militare di Trapani, cerimonia di apertura delle manovre congiunte
che uno dei militari quel giorno definirà «tremendous display
di forze».
Da Roma, pare, la Nato ha messo a disposizione un aereo per i
giornalisti. In tanti devono averne approfittato, atterrando
direttamente vicino al tendone della cerimonia. Infatti la mattina
del 19 (tutto sommato il viaggio in corriera Roma-Marsala non è
stato male!), ad aspettare fuori dai cancelli dell’aeroporto ci
sono solo giornalisti locali, due documentaristi russi e un cane di
strada che dev’essere fresco di abbandono, ancora bello e bianco,
bisognoso di carezze; volentieri accetta l’unico cibo a
disposizione, mandorle. (Il soldato di piantone non risponde alla
domanda: «Ve
ne prendete cura voi spero?».
Il
cartello è in borsa, piegato, dissimulato in un ingenuo faldone di
materiali su sicurezza alimentare e caos climatico (ma con la guerra,
tutto c’entra). «Lasciate
le borse aperte lì in quella tenda»,
è l’istruzione ai giornalisti. Ahi! Basta uno sguardo veloce lì
dentro e l’azione diretta andrà a monte. Invece no. La Nato - anzi
meglio l’esercito italiano - o non si aspetta o non teme il
dissenso. Si cautela invece contro gli attentati: metal detector e
cani anti-esplosivo non sono pagati per evitare le proteste verbali e
scritte.
La
cerimonia, la mostra e il volo dei salvatori di civili indifesi
La
cerimonia di inaugurazione precede la conferenza stampa. Enorme
tendone attrezzato, tappeto blu Nato a terra. Presenti militari
assortiti di ogni ordine e grado, politici, uffici stampa; e stampa.
Entrano le bandiere dei trenta paesi che si eserciteranno. Purtroppo
anche i partner non membri, quelli che non partecipano alle guerre
della Nato: Svezia, Austria, Finlandia… Sugli spalti dei media, un
cronista di Radio
Cuore
è in brodo di giuggiole; è nel suo elemento: accompagna passo
passo le fasi, con voce baritonale e intenta. Una signora tacco 16 si
fa un autoscatto. E scattano tutti in piedi i media alle prime note
del guerrafondaio inno di Mameli. Scrutandoli dal basso, dal sedile,
paiono soldatini. La tentazione di estrarre adesso il cartello è
forte, ma sarebbe impossibile fare il discorsetto di spiegazione e il
placcaggio da parte di qualche addetto stellettato sarebbe così
rapido da non far percepire niente, se non che «una pazza si è
lanciata contro le bandiere». In questi contesti la conferenza
stampa è l’unica che offre un po’ di tempo. Accadde anche a Roma
nel 2013 per l’azione contro Kerry & Terzi & gli altri di
fatto sostenitori di gruppi jihadisti.
I
discorsi sono a base di «La
Nato lavora per la soluzione pacifica dei conflitti, ma certo quando
questa non funziona, abbiamo la capacità di intervenire
militarmente, nel quadro dell’Onu»,
«le
più importanti esercitazioni degli ultimi anni sono un segnale
importante che i paesi danno».
Vershbow dice quel che ripeterà poi ai media. Un comandante spiega
che appunto si tratta di «combattere
terrorismo e sovversione»
e le «sfide
di regimi autocratici».
Insomma «la
Nato si adatta alle nuove minacce».
E’, Trident, un «tremendous spiegamento
di forze per rispondere a minacce da Nord, Est e Sud».
Poco
dopo, la conferenza stampa; e in seguito,, tutti nuovamente sui 4
pullman dei media, per un’altra tappa. Sulla pista aerea di cemento
adiacente al prato stanno fermi e disciplinati diversi aerei ed
elicotteri da guerra. Neri, grigi, marroncini, chiazzati. Le
telecamere si mescolano ai soldati, grande curiosità, le ferraglie
quasi si possono toccare! Poi ecco la sfilata aerea. Sfrecciano
rumorosi, arrivano di colpo, in rapida successione, come i fuochi
artificiali. Gli elicotteri si posano un po’ più in là, sul
prato. Sarebbe di impatto mettersi a correre sotto e contro quei
rumori con uno striscione arcobaleno; o almeno agitare un cartello,
per qualche fotografo attento. Ma manca la materia prima. La
locandina «Nato
Killing machine».
scarabocchiata in fretta sul pullman, fa appena in tempo a comparire
che subito un giovane soldato la strappa via. Inutile provare a
scriverne un’altra sul prato. «E’
entrata come giornalista, faccia la giornalista.»
L’ultima
occasione di protesta sarebbe il buffet, sotto un’altra tenda.
Esporre un cartellino tipo «La
Nato mangia tanto»?
Inutile, taccuini e telecamere sono a riposo. Intanto un reporter
della zona dice che a causa della guerra in Libia l’astuta
compagnia Ryan Air fu risarcita con 3 milioni di euro (il Comune
molto meno) per aver subito una riduzione dei voli da e verso
trapani, a causa dei continui voli militari a due tiri di schioppo
dalle piste civili.
Comunque
nel ripartire in pullman - finalmente senza militari e senza media -
verso Palermo in un pomeriggio di fresco sole, e poi in nave per il
continente, viene in mente «Hanno
fatto la manifestazione»,
nell’epica canzone I
treni per Reggio Calabria.
Ma, a parte i cartelli scritti a mano, si parla di tempi, il 22
ottobre 1972. Allora si rischiava molto anche a manifestare
pacificamente. Nell’Italia del 2015, invece, andare alla marcia No
- Trident Juncture per le vie di Napoli, il 24 ottobre, è un obbligo
senza spine.
Marinella Correggia
Ecco
infine la poesia di Elias, sfollato iracheno
IL
MONDO DOPO LA DISSOLUZIONE DELLA NATO
(ma
in realtà si chiama “Il sogno di un uomo”)
La
guerra finirà
pianteremo
alberi
perché
rimangano
non
perché siano legna da ardere
con
i nostri bambini e giovani e
anziani
pianteremo fiori
alle
frontiere
e
grano nei campi dei soldati
trasformeremo
le prigioni in musei.
La
guerra finirà
insieme
sradicheremo le mine
come
i contadini sradicano le infestanti
al
ritmo dei suoni del raccolto
chiuderemo
le fabbriche di armi
diventeranno
ospedali e scuole materne
e
i veicoli militari
diventeranno
bus scolastici
una
volta ridipinti con arcobaleni a onde.
La
guerra finirà
alzeremo
la bandiera dell’amore e della tolleranza
cantando
per gli umani e la natura
applaudendo
insieme
con
risate e sorrisi puri
metteremo
vasi di fiori alle nostre porte
ogni
fiore da una parte diversa del mondo
ordiremo
un arazzo colorato
ogni
filo da una nazione.
La
guerra finirà
ciascuno
benderà le altrui ferite
pianteremo
gelsomini
sulle
tombe delle nostre vittime.
.................
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